IL FILM DELLA SETTIMANA DI UNWISE

09/03/16

the danish girl

THE DANISH GIRL 

Tra i vestiti, le tradizioni e la società di una Copenaghen degli anni ’20 la ritrattista Gerda è felicemente sposata con il noto pittore paesaggista Einar; la loro casa un tripudio di colori dei loro quadri e del loro amore forte, vero, travolgente, palpabile. Nonostante alcune difficoltà (che non risparmiano mai nessuno) come l’impossibilità di non avere figli, i due tirano avanti nutrendosi della fiducia e della complicità che provano l’un l’altro. Insomma, la coppia ideale.

D’un tratto però, la loro storia, anzi, la loro vita sembra prendere un’altra piega: Gerda chiede al marito di posare al posto di una modella donna, la ballerina Ulla, impegnata nelle prove di uno spettacolo, e quella che sembra essere una situazione particolare, divertente si trasforma in qualcosa di più grande e inaspettato. In un trampolino di lancio per Einar per la scoperta di sè stesso. Vestito con quelle sete, quei collant, quelle scarpette, e col trucco sugli occhi e sul viso, il pittore danese sembra davvero essere a suo agio. E prova un brivido: forse di felicità, forse di paura.

E ancora per far contenta la moglie (e anche un po’ per piacere), assume l’identità di una donna, Lili Elbe: accompagna Gerda ai balli, per strada, nei negozi. E prova un brivido: forse di felicità, forse di paura.

Ma chi è Lili? Non è finzione, non è una fantasia, e non è più poi neanche un gioco. Lili è l’alter ego femminile di Einar, è Einar e c’è sempre stata.

The danish girl non è un film qualunuqe. Non è solo la storia di uno dei primi uomini ad essersi sottoposto ad un intervento chirurgico di riassegnazione sessuale. È la storia di un viaggio, ma non per mari o monti o altri mondi: un viaggio attraverso il proprio corpo, la propria mente, la propria anima. Attraverso e verso sé stessi, il proprio IO: forse la terra più difficile da raggiungere e scoprire.

E ci fa capire che l’amore vero è ben altro da quello che spesso ci raccontano o raccontiamo: è complicità, è aiuto reciproco, è sostegno. È quello di Gerda ed Einar, che è Lili…uniti fino alla fine.

FRS

IL FILM DELLA SETTIMANA DI UNWISE

BARBIE: TRA FILOSOFIA E CAMBIAMENTO

30/01/16barbie

Una telecamera nascosta, qualche adulto incredulo e alcune ‘piccole donne’. Un video semplice e divertente ma che alla fine riporta una frase: “You can be anything”. Così si chiude il nuovo spot pubblicitario di Barbie, la bambola più amata e odiata di tutti i tempi. Un messaggio fresco, forte e profondo quello si cerca di diffondere, e che invoglia le nuove generazioni ad ‘essere quello che vogliono’, a non farsi abbattere dalle difficoltà, a perseguire con tutte le forze i sogni. Un invito ad abbracciare l’idea del “Imagine the possibilities”: Immaginare le numerose vie da percorrere per trovare sé stessi.

 

Ma quando la Signora Ruth Handler (ormai più di 50 anni fa) ideò la prima Barbie per sua figlia, di certo non immaginava il successo che avrebbe riscosso nel tempo e nel mondo. Chi poteva prevedere che sarebbe diventata icona della moda e della bellezza, o un vero e proprio filtro per i bambini attraverso cui immaginare, vedere le loro storie e il loro futuro? Nessuno.

 

Tuttavia, una cosa è certa: ad oggi queste bambole non sono solo passatempi. Celano delle filosofie di vita importanti e delicate che non devono essere sottovalutate. Ed è proprio per via della loro ‘influenza’  che ultimamente sono state al centro di polemiche: a detta di molti, il loro aspetto così stereotipato, così rigido nello schema della ‘bellezza perfetta’ potrebbe essere mal interpretato dalle bambine e dunque pericoloso, deviante.

E allora la Mattel (colosso nella produzione  di giocattoli) ha deciso di rispondere alle critiche portando una ventata di cambiamenti nel design delle Barbie: dal 1 marzo diciamo “ciao” alle sole gambe lunghe e alla vita microscopica.

Le nuove versioni sono più umane e realistiche: oltre alle differenti tonalità di carnagione e acconciature, ecco arrivare anche la ‘petit’ (minuta) la ‘tall’ (alta) e la ‘curvy’ (formosa).

E il Time dedica una copertina a questa evoluzione. Un vero e proprio ‘turning point’ , un punto di svolta, nel mondo delle Barbie di cui si parla tanto nel bene e nel male. Ma come si dice, l’importante è che se ne parli.

FRS

BARBIE: TRA FILOSOFIA E CAMBIAMENTO

IL FILM DELLA SETTIMANA DI UNWISE

Sherlock_1200x627

26/01/16

SHERLOCK 

Nato dalla mente geniale di Sir Arthur Conan Doyle nell’ormai lontano ‘800, Sherlock Holmes ha ipnotizzato tutte le generazioni successive, creando attorno a sé un vero e proprio esercito di seguaci.

Non dobbiamo stupirci se numerosi produttori, registi e sceneggiatori (soprattutto contemporanei) del cinema hanno spesso messo gli occhi su di lui facendolo diventare protagonista di nuove avventure. Ne abbiamo visti (eccome!) di attori cimentarsi in questo ruolo, che tutto è fuorché semplice; perché semplice non è proprio la figura del personaggio.

Sir Doyle nei suoi racconti, spesso brevi, brevissimi, ha delineato la personalità stravagante di questo investigatore privato londinese dalle mille risorse e dall’intelletto quasi spaventoso: brillante, sarcastico, illuminato, rivoluzionario, solitario, preciso nei calcoli e nelle parole; una mente fuori dal comune e un carattere scontroso. Non semplicemente un uomo, un personaggio, ma una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro.

A compensare i suoi difetti e a completarlo c’è però un altro personaggio: Watson, collega inseparabile, l’unico capace di sopportare i suoi sbalzi d’umore.

Così, sulla base di questi tratti ecco sbizzarrirsi i creativi del cinema.

Ed ecco che dalla serie tv del 2005, ambientata in una Inghilterra moderna, intitolata proprio “Sherlock” e firmata da Steven Moffat e Mark Gatiss, vediamo l’investigatore privato di Baker Street di nuovo sul grande schermo: a vestirne i panni abbiamo un Benedict Cumberbatch (attore protagonista in “The Imitation Game”) impeccabile . Sia nella serie, sia nel suo ‘episodio speciale’ cinematografico, che riporta il nome di Sherlock-L’abominevole sposa, l’attore è incredibilmente perfetto nella recitazione e nell’interpretazione: il modo in cui dosa il tono della voce, la velocità dei suoi discorsi, i suoi gesti, il suo modo di essere così freddo e (quasi) affettuoso, scontroso e sarcastico, richiamano appieno il personaggio di Sir Doyle. Chapeau per Cumberbatch.

Il film comunque è un buon risultato ottenuto dalla serie televisiva dalla quale però si differenzia soprattutto nell’assetto temporale: il sipario si alza e nella Baker Street di una Londra vittoriana come quella di Doyle (contro quella moderna del telefilm) ritroviamo lo studio del famigerato Holmes, amato e odiato dai poliziotti di Scotland Yard, dai vicini, dalla padrona di casa, da tutti.

Ed ecco gli inseparabili Sherlock e Watson (interpretato da Martin Freeman) alle prese con un nuovo caso: tale signora Ricoletti, vestita con il suo vecchio abito da sposa, sembra aver inspiegabilmente seminato il panico in strada, togliendosi poi la vita. La vicenda si infittisce quando la si rivede vagare in giro; a quel punto la domanda sorge spontanea: è morta davvero o no? Il finale non è poi così scontato e lo scheletro, l’articolazione della vicenda è piuttosto complessa, che richiama per certi versi l’ “Inception” di Christopher Nolan.

La produzione è stata puntigliosa e innovativa nella ricostruzione dell’ambiente in generale, ma più nello specifico in quella della stanza da lavoro del protagonista: all’interno di essa sono evidenti elementi tipici dei racconti di Sir Doyle.

Per questo Steven Moffat in persona si è occupato di far fare una “visita guidata” agli spettatori in un “dietro le quinte” di qualche minuto trasmesso poco prima dell’inizio del film. In questo modo, anche i meno attenti si sarebbero accorti di piccole ma importanti cose.

Dopotutto, se si vuole parlare di Sherlock, bisogna essere attenti ai minimi dettagli, o la resa è pessima.

FRS

IL FILM DELLA SETTIMANA DI UNWISE